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Costume e SocietàLetteratura

La vita oltre la morte e il divieto di versare sangue

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri

Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

L’uomo di per sé, presso gli antichi, è un elemento di passaggio; meglio se la sua vita sia breve, meglio se non nasce. Così Teognide:

Non nascere è per gli uomini la miglior cosa né vedere i raggi acuti del sole, ma una volta che siamo nati varcare al più presto le porte dell’Ade e giacere sotto un tumulo alto!

Leopardi così tradusse un verso di Menandro:

Muor giovane colui ch’al cielo è caro.

Per completezza, si riporta il rito del sacrificio di animali, per come previsto dalla Bibbia e per come descritto in Japhet. Japhetha un incubo la notte e il nonno Denaim lo stesso sogno. Pensano sia una premonizione divina e decidono di sacrificare un agnello a Jaweh. Isaia, il sacerdote, dapprima è perplesso, poi effettua il rito secondo le previsioni della Sacra Bibbia.

Isaia ammutolì e pensò che forse aveva peccato, se non di presunzione, di superficialità, se non era riuscito a capire subito i segni che Dio mandava. Quindi disse al ragazzo:
«Posa l’agnello sull’altare e dammi il tempo di trovare un pugnale.»
Il ragazzo posò l’agnello sull’ara, ma non slegò le zampe, tranne uno. Invero, il ragazzo stava utilizzando l’astuzia non di legare tutte e quattro le zampe insieme dell’animale, ma solo tre: le due avanti e la destra indietro. Lasciò libera l’altra zampa, così che nel mentre l’animale si agitava e faceva forza per slegarsi, la zampa libero rendeva meno forte la tensione e flebili le forze. Il sacerdote seguì il rito per come prevedeva la Legge. Perciò pose la mano sul capo della vittima, poi, con un pugnale, si avvicinò all’agnello e poggiò la punta sul collo, dove vi era una grande vena. Prima di conficcare l’arma per fare uscire il sangue, con gli occhi rivolti al cielo, disse:
«Jaweh, io ti ricordo che questo non è un animale immondo, poiché rumina e ha l’unghia fessa. Perciò è un dono a te gradito. Illumina con il suo sacrificio il tuo servo, per far sì che i tuoi comandamenti siano esauditi.»
Così disse il vecchio Isaia e subito conficcò il coltello nella gola dell’agnello, tagliando per intero la vena giugulare. L’agnello gridò e si contorse per un tempo che sembrò lunghissimo. Mentre il sangue scorreva a fiotti e finiva ai piedi dell’altare e poi in una scanalatura che lo circondava tutto, il grido divenne sempre più flebile, fino a spegnersi. Poi, il Sacerdote scorticò l’agnello e quindi aprì la pancia. Tolse i reni, il grasso che copriva il ventre, è tagliò la coda, e tutte le viscere con l’uno e l’altro rene e con il grasso intorno ai lombi, e la rete del fegato. Da un lato, sull’Ara era stato già acceso un fuoco e il Sacerdote vi pose quanto vi aveva tolto.

Il concetto, se non di anima, ma di vita eterna nasce con il culto di Persefone se Omero, che era un adepto, così chiosa:

Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui ch’è stato ammesso al rito! Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso, giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù, nella squallida tenebra.

Dunque colui che è un iniziato ai riti misterici di Persefone, avrà una vita eterna. È bene ricordare che la parola Adepto si poteva solo utilizzare per i fedeli di Persefone, e ammesso ai riti misterici, che dopo Eleusi, per come ci dice Pindaro, solo Locri li potevano celebrare. Di più, vi è quando si tratterà la Sanità a Locri Epizefiri.
Il divieto di spargere sangue non era solo semitico, ma presso tutto il Mondo greco. Socrate inghiotte la cicuta, che è meno cruenta del laccio, ma siamo a diversi secoli dopo le leggi zaleuchiane. Ma i romani condannano al suplicium, che in concreto è la crocifissione. Non si spargeva sangue perché l’uomo crocefisso moriva per asfissia, dovuta al fatto che la posizione del corpo finiva poi anche per comprimere l’apparato respiratorio. La lancia sul costato di Cristo, è un fatto del tutto isolato.
Se il sangue rappresenta la vita, e per i riti orfici e quelli di Persefone vi era una vita oltre la vita, che non era diversa da quella vissuta, se non per la mancanza di angosce, sofferenze, e la presenza di serenità e nel campo degli asfodeli si era semplicemente felici, far scorrere il sangue significava impedire questa vita. E colui che negava la vita oltre la vita, avrebbe pagato cara questa sua malvagità.
Il concetto di vita eterna non diversa, se non per la felicità, era comune presso gli antichi. In Egitto, dopo la morte, l’anima subiva un duplice giudizio; al primo erano 42 giudici a giudicare e l’anima di fronte a loro doveva confessare di non avere fatto niente di male nella vita: non ho rubato; non rubato la donna d’altri; non ho commesso oltraggi e così per 42 volte. Poi iniziava la confessione in positivo, che era uguale per tutte le anime: “Ho dato il pane all’affamato, acqua all’assetato, vesti all’ignudo, una barca a chi ne era privo”.
Rafforza il concetto, la considerazione che tutto è riportato nel cosiddetto Libro dei morti, che è, si ripete, traduzione errata del testo originario. Molti studiosi hanno sottolineato che l’espressione egiziana ru nu peret em heru va tradotta Libro per uscire al giorno; oppure Libro per emergere dalla luce. Concetto questo che nelle sepolture locresi era dato dalla presenza nella tomba di un uovo e un gallo di terracotta, che stava d indicare la nuova vita (uovo), che si sarebbe vissuta appena fosse stata annunziata la fine della notte (il canto del gallo).
Il richiamo è utile a dimostrare che l’influenza greca ed egiziana presso i Semiti è stata maggiore di quanto si creda e che dalle 42 confessioni, in negativo si possono trarre i nove comandamenti che poi Mosè fece propri.
Ma se mancava l’ultima confessione in positivo (cosa hai fatto di buono nella vita?), l’anima finiva mangiata dalla Divorarice, che era una bestia con la bocca da coccodrillo e il corpo da rinoceronte; e questa sarebbe stata la morte definitiva. Diversamente, vi sarebbe stata un’altra vita.
Non è una preghiera cristiana ma egiziana, contenuta nel libro dei morti. E la barca serviva all’anima per passare lo Stige e andare nell’Isola dei Beati. Privare del sangue una persona significava impedire tutto questo; e non era nel potere dell’uomo, se non perché fosse puramente malvagio, la cui anima sarebbe stata destinata a essere mangiata.

Foto: it.aleteia.org

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