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Costume e SocietàLetteratura

Le radici culturali della giustizia ripartiva

Le riflessioni del Centro Studi

Edil Merici

Di Alfredo Arcorace – Avvocato del Foro di Locri

Nella storia dei popoli e delle religioni la giustizia ripartiva ha radici etiche e sociali profonde; basti pensare che dell’alternativa alla pena-vendetta si parla già nel 700 avanti Cristo, nell’Iliade. Di perdono e riparazione, come alternativa al castigo, si parla poi anche nella Bibbia e nel Corano ed in tutte le fedi religiose.
Nel canto XVIII dell’Iliade si narra che il popolo si era raccolto nella piazza perché era sorta una lite tra due uomini che discutevano per il compenso di un uomo ucciso. L’uno prometteva di dare tutti i suoi averi per ripagare l’omicidio commesso, ma l’altro diceva di non volere nulla; entrambi ricorrevano così a un arbitro affinché stabilisse il limite della causa. In questo processo la polis non era chiamata a esprimersi solo sull’applicazione della punizione vendicativa, a irrogare una pena, ma era chiamata anche a decidere se stabilire un prezzo per la riparazione, un riscatto, come alternativa alla pena-vendetta.
Già nelle antiche civiltà si pose dunque il problema dell’alternatività tra pena e riscatto, ossia di una prestazione attiva e volontaria in funzione compensativa-riparatoria. Riparare significa porre in essere azioni responsabili verso l’altro per ricomporre un rapporto fiduciario che consenta di progettare un’alternativa al conflitto. Il reato può essere, quindi, l’occasione per trasformare la colpa in responsabilità.
Nella cultura della riparazione l’attenzione si sposta dalla teoria della sanzione (intesa anche come vendetta) alla teoria del danno, dove la domanda che l’operatore del diritto si deve porre non è quale sia la giusta sanzione per il reato commesso, ma quale la giusta condotta che dev’essere tenuta dal colpevole per riparare le sofferenze inferte alla vittima. La giustizia riparativa è quindi un modello culturale che muove dal pentimento dell’autore del reato, dalla capacità di perdono della vittima, dalla capacità di ascolto e di comprensione l’uno dell’altro. Il passo dell’Iliade, su ricordato, riveste una grande importanza, perché costituisce la prima testimonianza scritta del diritto nella Grecia antica e perché dà atto del superamento della legge non scritta della vendetta quale strumento di sanzione/riparazione per il reato commesso.
Di riparazione come alternativa alla vendetta si parla anche nel Corano laddove è previsto che, con riferimento ad alcuni reati, la vittima possa perdonare il reo ed evitargli la sanzione, anche rinunciando al risarcimento del danno. Il Corano incoraggia il perdono perché chi ha il coraggio di perdonare e di riconciliarsi con chi gli ha fatto del male avrà da Allah il suo compenso. Per gli islamici, dunque, il perdono è il presupposto per la riconciliazione.
Nella cultura induista il male nasce dall’ignoranza, per cui tanto più si osserva una giusta condotta e si frequenta una buona compagnia, tanto più si eviterà il rischio di soffrire e di provocare sofferenze. Anche per gli induisti assumono rilevanza indissolubile due fattori: il reato e il perdono. L’autore del misfatto deve rendersi conto del proprio sbaglio, del dispiacere e della sofferenza inferta e deve riparare il danno provocato. Solo in questo modo egli potrà maturare il cambiamento interiore necessario per non ripetere più l’errore commesso: dunque, il male fatto è l’occasione per compiere una trasformazione radicale della propria vita.
Nella cultura cristiana, invece, le sanzioni possono essere applicate per risocializzare il reo e consentirgli di riappropriarsi del suo destino attraverso la riconciliazione con la vittima. La capacità del reo di ricostruire il suo avvenire in modo responsabile è, quindi, la migliore forma di giustizia. La rieducazione del colpevole passa attraverso il principio per cui Dio condanna il male ma protegge il colpevole, al quale chiede un cammino di riabilitazione che presuppone il pentimento e il riconoscimento del male commesso.
Nel Nuovo Testamento si assiste a un’attenuazione del concetto di castigo divino come conseguenza al male inferto e al peccato commesso e assume assoluta centralità la riconciliazione con Dio e con gli uomini, raggiungibile attraverso il sincero e profondo pentimento del peccatore, accompagnato dal perdono da parte della persona nei confronti della quale il male è stato inferto. Nel Cristianesimo, quindi, la vittima svolge un ruolo attivo nella riabilitazione del colpevole/peccatore perché è anche attraverso di essa, e attraverso il perdono di Dio, che colui che si è smarrito nel peccato può ritrovare la via della salvezza. Per la fede cristiana, l’amore vero porta al pentimento, alla riparazione, al dolore, alle lacrime, alla richiesta di perdono e a chi è veramente pentito Dio concede perdono e salvezza. Gesù è infatti venuto sulla terra per salvare e perdonare chi crede in Lui e sa amarlo.
Il concetto di riparazione poggia, dunque, sul doppio pilastro pentimento – perdono. La capacità di perdonare costituisce quindi un tratto imprescindibile, fondante e proprio dell’essere cristiano e conduce alla salvezza eterna. Non sfugge il fatto che la moderna idea di giustizia riparativa sembra contenere una sintesi della cultura del pentimento e del perdono, che opera in funzione della ricostruzione delle relazioni sociali che sono state lese dal delitto, prendendo le mosse dall’incontro tra le persone che sono coinvolte dalla vicenda, dalla loro capacità di reciproco ascolto e di rivisitazione dell’accaduto.

Continua…

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023

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