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Costume e SocietàLetteratura

La bionda del bar

I racconti della buonanotte X

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Il racconto che segue è destinato a un pubblico adulto.

Diritto internazionale non era uno scherzo.
Giovanni l’aveva già dato due volte ma la terza, secondo lui, doveva essere quella decisiva.
Era già al secondo anno presso la Facoltà di Legge dell’Università di Messina e quell’esame non gli andava proprio giù.
Aveva studiato tutta la mattinata e l’indomani ci sarebbe stato l’esame. Per prendere un po’ d’aria e sgranchirsi le gambe, dopo essere stato a mensa, stava percorrendo a piedi la Via Tommaso Cannizzaro.
A Messina c’è l’eterna primavera con qualche giorno d’inverno qua e là nel corso dell’anno.
In tutte le stagioni c’è il sole, sicuramente a Pasqua ma pure a Natale, il sole che riscalda e a volte brucia e la gente è buona e le ragazze belle.
La Via Tommaso Cannizzaro è molto lunga, larga e sempre piena di gente che s’incontra, parla, discute e ride.
L’aveva vista da lontano, seduta là, a un tavolino di un bar piuttosto elegante, sorseggiava qualcosa e aveva un sorriso che l’aveva conquistato.
Lui si era avvicinato e le aveva chiesto: «Mi posso sedere al tuo tavolo?»
Non era solito abbordare le ragazze, ma quel sorriso l’aveva ammaliato.
«Siedi. Vedi? Sono sola e non aspetto nessuno.»
«Cosa stai bevendo?»
«Uno spritz.»
«Porti uno spritz anche a me per favore?» Aveva chiesto il ragazzo al cameriere che, intanto, aveva fatto capolino dalla porta del bar.
«Come ti chiami?» Le aveva chiesto lei guardandolo dritto negli occhi.
«Giovanni» aveva risposto lui abbassando gli occhi e non riuscendo a sostenere lo sguardo di quella venere bionda.
«Cosa ti porta a Messina, l’università?»
«Sì, ma non parliamo di me. Tu come ti chiami, sei di Messina?»
«Io sono Morgana, da sempre a Messina. Ma perché mi guardi con tanta insistenza? Credi di avermi scelto tu? Sono stata io a farti venire a questo tavolo. Sono stata io a sceglierti.»
Era un pomeriggio bellissimo, c’era un’aria fine, tutto il corso era pieno di gente e l’aria accarezzava i due ragazzi tra i capelli mentre il sole li baciava sulle guance.
Era strana quella ragazza, perché gli aveva rivolto quelle parole?
Lui l’aveva vista da lontano e gli era piaciuta. Gli occhi di lei così belli e chiari e la sua fronte e i suoi capelli e il suo profumo che sembrava spandersi per tutta la via, lui se ne era  innamorato in mezzo a tutta quella gente, agli spritz, ai salatini e ai camerieri. Sentiva già di amarla e quando lei gli aveva chiesto di seguirla a casa, lui aveva avuto alcun dubbio e quando lei gli si era appoggiata al braccio il suo cuore era traboccato di gioia.
La casa non era molto lontana dalla Via Tommaso Cannizzaro e ci erano arrivati subito. Lui era entrato e aveva immaginato che il paradiso fosse proprio così.
Una bella brunetta dell’età di Morgana aveva fatto il suo ingresso dalla cucina.
«Lei è Aradia – aveva detto la bella biondina, – lui invece è Belzebù» aveva continuato la ragazza indicando un gufo appollaiato sul ramo di una grande pianta che faceva bella mostra in un angolo della sala.
Il gufo aveva fatto un verso, poi si era librato per la stanza ed era andato ad appollaiarsi sulla spalla di Giovanni, che aveva fatto istintivamente un moto come per scacciarlo.
«No, lascialo! Fa così perché ti ha preso in simpatia. Vado a preparare una delle mie tisane intanto che voi due fate conoscenza.»
Il gufo aveva fatto un altro giro per la stanza ed era ritornato al suo posto mentre i due si erano seduti su di un elegante divano di seta rossa in stile che faceva però a pugni con il resto dell’arredamento, che era invece modernissimo.
Lui scrutava la ragazza, che era bruna e anch’essa molto bella. Lei non parlò molto al di là dei convenevoli, che erano stati peraltro molto stringati.
Era stata Morgana a toglierli dall’imbarazzo portando un vassoio con la tazza di una profumatissima tisana.
«È molto buona! È dolcissima, anche se scotta un poco» aveva detto Giovanni a mo’ di ringraziamento.
«Ti ci dovrai abituare, non è poi così bollente come ti sembra.»
«Vi racconterò una storia» aveva detto a un tratto Aradia, che, chiusi gli occhi, con voce dolce, iniziò il racconto:
«Sono nata il diciotto ottobre del 1650 a Palermo. Mia madre mi aveva insegnato a curare le malattie con le erbe sin da quando avevo otto anni. Quante persone abbiamo curato e salvato con i nostri decotti e i nostri impacchi! Poi a una giovane donna potemmo solo alleviare le sue sofferenze, ma non riuscimmo a salvarle la vita. Il marito e i suoi genitori ci denunciarono all’Inquisizione e una notte fummo arrestate e fummo condotte a Palazzo Steri, accusate di stregoneria e lì cominciarono i nostri tormenti a opera del Padre Gerolamo Matranga. Fummo denudate davanti a dei soldatacci che ci ingiuriavano e ci deridevano pesantemente e, io e mia madre, sottoposte ai tratti di corda, tanto da non riuscire, per giorni e giorni, a muovere più le braccia, poi furono mutilazioni e sevizie di ogni genere e poi fu il rogo. Fummo bruciate vive e per noi, ti giuro, fu una vera liberazione.»
«Cos’è un monologo che stai preparando per l’università?» Aveva chiesto Giovanni, più impressionato che curioso.
«No, allora non hai capito nulla?» Domandò di rimando Morgana, con una risata feroce.
«Qual è il tuo nome?»
«Giovanni… Matranga, ma questo che significa?»
«La nostra vendetta deve ricadere anche su di te che sei il pronipote dell’Abate maledetto.”
Così, in un attimo, era stato immobilizzato, denudato e condotto in un altra stanza, dove una specie di Croce di Sant’Andrea lo attendeva.
La tisana che Morgana gli aveva somministrato cominciava a fare i suoi effetti e Giovanni, adesso, era intontito e non riusciva più a reggersi neanche in piedi.
I lacci che lo legavano alla croce erano molto stretti e lui aveva cominciato a lamentarsi debolmente. Uno straccio gli era stato ficcato in bocca, così adesso Giovanni respirava a fatica.
Il gufo Belzebù, staccatosi dal suo ramo, aveva fatto un largo giro per la casa poi si era infilato nella stanza dove Giovanni era legato. Una nuvola bianca di fumo si era sparsa per tutta la stanza e il gufo era diventato un distinto signore poco più che quarantenne, in doppiopetto e papillon amaranto, con una barbetta nera che gli ornava piacevolmente il viso.
«Divino, cosa comandi che ne facciamo di questo miserando?» Aveva chiesto Morgana al nuovo venuto, inginocchiandosi.
«Non gli fate troppo male. Impeditegli solo di procreare.»
Poi era ridiventato un gufo che, facendo un altro giro per la stanza, si era andato ad appollaiare sul suo abituale ramo in bella vista nella sala.
«Non mi basta, somiglia troppo al suo antenato» aveva detto Aradia che, preso un affilatissimo pugnale, si avvicinò al ragazzo e fece un taglio preciso, quasi chirurgico, recidendo i testicoli e buona parte del membro. Giovanni avrebbe avuto voglia di urlare con tutta la forza che aveva ancora in corpo, ma lo straccio che gli avevano forzato in bocca gli aveva permesso di emettere solo un lungo grugnito gutturale. Poi, provvidenzialmente, svenne.
«Vedi che non perda troppo sangue, perché deve continuare a vivere» aveva raccomandato Morgana.
Poi, per Giovanni, ci fu solo buio, confusione, rumori ovattati e dolore.
Al mattino seguente qualcuno, vicino al porto, aveva trovato il giovane con indosso solo una lercia coperta. Non aveva saputo spiegare molto: parlava di diavoli, di streghe, di belle ragazze e piangeva inconsolabilmente, un pianto disperato che durò per giorni e che nessuno poté consolare.
Nell’ambiente della Polizia si disse che il ragazzo era stato drogato e che la ferita era sicuramente il frutto di un gioco erotico finito male. Per molto tempo raccontò la sua versione ma nessuno mai gli credette e per questo finì i suoi giorni in una casa di cura di provincia.
Inutile dire che non diede mai Diritto internazionale come è inutile che io vi raccomandi di cercare tra i vostri antenati. Ci potrebbe essere un abate, un vescovo o un armigero che abbia avuto a che fare con l’Inquisizione Siciliana, perché Aradia e Morgana vivono ancora e, forse, vi stanno già cercando.
E, se può servire, vorrei darvi un ultimo consiglio: non avvicinatevi mai alle belle ragazze sedute da sole al tavolo di un bar.

Dedicato a tay_jullare77

Foto: legnanonews.com

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Redazione

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