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Costume e SocietàLetteratura

Le trattative dalle mura

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXVIII

Di Giuseppe Pellegrino

La folla immensa fu costretta a sobbarcarsi al ritmo del cammino dei cavalli, e non era grande consolazione il fatto che anche i servi siculi traditori dovevano fare la stessa cosa. Annone stava pure attento a che non venissero molestati gli uomini e, soprattutto, le donne. Amilcare Barca si era portato con sé una coorte Brettia, che era ancora memore del sangue sparso a irrorare la terra dai locresi, seppure il giorno lontano nel tempo quando lo zio di Alessandro Magno, Alessandro detto il Molosso, sulle colline di Pandosia, nella valle del Crati, per il tradimento dei tarantini, trovò la morte a opera dei Bretti, che avevano già sottratto a Locri Terina, Temesa e la vicina Hipponion. Ora volevano Locri. Ma il fiume Elleporo, ormai per tutti i locresi sacro, anche questa volta portò fortuna a Epizephiri. Grande ancora fu la strage di uomini, immenso il bottino, che andò ad adornare tutti i templi, soprattutto quello di Zeus, che fu sommerso di scudi nemici. Il ricordo era bruciante, ma bruciavano soprattutto i versi che la puttana di Locri aveva scritto e declamato a loro onta eterna.

Scudi dei Bretti sfortunati sono
Questi che miri attorno al Tempio appesi,
Messi da lor guerrieri in abbandono,
Quando cadder per mano de’ Locresi.
Armi – veloci: e offerte a’ Numi in dono
Da’ vincitori a eternare intesi
Il valor, la ragione e la vittoria,
Non serbano più del braccio vil memoria.

Non c’era sangue per i Bretti che poteva lavare l’oltraggio di essere tacciati come vili.
Non fu lungo il percorso fino alle mura di Locri. Né difficile da capire la situazione per gli àristoi, che sulle mura, con qualche oplita, vegliavano i campi. Nessun romano si vedeva. Il prefetto Lucio Attilio preferiva la sicurezza delle imprendibili fortezze, dove aveva alloggiato le sue truppe. Nessuna cautela, neppure di sentinella, aveva preso. Il prefetto aveva lasciato la custodia delle mura di Locri all’esercito locrese, ingannato dal suo passato e impreparato al presente.
Amilcare arrivò sotto le mura, ma si tenne a distanza da possibile dardo in modo, però, da essere sentito.«Consegnateci la città – gridò il punico all’uomo che sembrava sulle mura essere il capo, – o a uno a uno tutti i cittadini di Locri saranno uccisi!»
Poi gridò: «Hieron, fai capire quello che ho detto a questi Greci!»
Il Brettio chiamato Hieron era il comandante della coorte Brettia. Barca si portava dietro i Bretti per due ragioni: assegnava loro il lavoro sporco e, soprattutto, li utilizzava in ragione della lingua greca, che questi parlavano perfettamente insieme a quella osca. L’uomo aveva una corporatura enorme, gigantesca e spaventevole. Seduto sul cavallo si avvicinò alle mura della città, senza la cautela della distanza. Con la faccia beffarda fece capire ai locresi il pensiero di Amilcare Barca, in modo più esplicito di quanto il cartaginese non avesse fatto in realtà.Anteo non era un àristos, ma un uomo acuto e duttile. Per questo era stato fatto membro della Bolà. Ora si trovava sulle mura di Locri, unico rappresentante di un’inutile istituzione, assieme a numerosi carpentieri. Gli àristoi presenti stavano muti. L’uomo sapeva capire quando una situazione era difficile o, come in quel momento, drammatica, ma era sempre del parere contrario a prendere decisioni affrettate. Vi era un patto con i romani che non poteva essere tradito in modo semplice. Arguì che la cosa immediata era quella di prendere tempo per riflettere.«Non è in mio potere prendere una simile decisione, poiché ogni potere è della Dàmos. Dammi il tempo di riunirla e presto avrai una risposta.»
Né il generale Amilcare né il generale Annone sapevano come fosse composta la Dàmos locrese. Pensavano a un consiglio di saggi, che avrebbe preso decisioni rapide, non a una mastodontica assemblea. Tuttavia, Amilcare Barca aveva imparato dai Greci l’arte dell’inganno e si cautelò.«È l’ora terza gridò da sotto le mura. – Aspetto una risposta non oltre l’ora sesta. E, per convincere te e la tua Dàmos, ti voglio dare prova che non hai alternative.»
E per dimostralo, si rivolse, solo con la voce, mentre lo sguardo era sempre diretto verso le possenti mura, verso la coorte brettia e comandò:«Hieron prendi tre ostaggi.»
Non diede l’ordine ai suoi uomini, il generale cartaginese, poiché non amava sporcarli con fatti ignominiosi. Così se ne guardava personalmente e riguardava il suo esercito. Credeva il generale che un esercito dovesse essere ordinato e ubbidiente, ma soprattutto non dovesse compiere azioni efferate. I Bretti no. Erano gente che col sangue si eccitava. Spesso doveva richiamarli soprattutto quando i nemici erano quelli di Locri. Memori del massacro effettuato dai locresi nella battaglia presso l’Elleporo, consideravano ogni azione in loro danno una rivincita.

Foto: calabriafilmcommission.it


Edil Merici

Redazione

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