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Costume e Società

Mia nonna, anima dell’Aspromonte

Reduce da una lunga giornata di pascolo, seduto sul ceppo di castagno, davanti alla tenue luce di un focolare, benché stanco e assonnato, seguivo le favole della nonna. Fuori la pioggia batteva convulsa, e la bruma, quasi con l’intenzione di appropriarsi del mondo, calandosi dai monti, estendeva i suoi tentacoli fino a valle, così da colorare di un grigio fosco il territorio.
Tutto pareva preda di una calma tombale. E il vento che soffiava là fuori, lentamente, cominciava a soffiare dentro la mia anima, facendomi precipitare in un profondo stato di narcosi. Si trattava del rumore della pioggia, coperto dal soffio del vento, che si imponeva al mondo traboccante di una magia mai decifrata dagli uomini. Mai compresa.
E così era pure per il verbo aspromontano che debordava dalle viscere della terra, dalle insenature dei monti, dagli alberi, dal bosco: lo stormire delle foglie, il suono dei ruscelli, il barrito delle civette, l’ululato dei lupi, la natura tutta si offriva affinché quell’attimo rimanesse impresso nella mia memoria. Mentre il mio udito, simultaneamente al racconto, coglieva le summenzionate meraviglie, osservavo stregato come la nonna – tra un mescolare la pignatta, un pregustare il cibo, un aumentare la gradazione della lumiera olio – seguitava nel suo racconto. E un magico barbaglio – la luce della lumiera arricchita dalle fiamme del focolare – plasmava sulle sue guance espressioni pressoché inumane, mentre i suoi occhi sembravano riflettere gli albori del mondo. Erano occhi provati dalle sensazioni, occhi forgiati dalla stanchezza dei campi, dalla fatica, dagli stenti, dai sacrifici: occhi che avevano vissuto la guerra, le brutte annate, i raccolti distrutti dal gelo, la siccità; occhi che avevano visto la fame (quella vera), la miseria, la povertà. Ebbene, ascoltavo le sue meravigliose leggende in una sorta di conflitto interiore, battendomi cioè per cercare di rimanere sveglio per non soccombere a quel sonno che sicuramente mi avrebbe precluso la parte migliore del racconto.
Racconti che si intrecciavano tra essi, rievocando vecchie storie di fate, orchi, folletti, streghe, ed esseri misteriosi che popolavano l’Aspromonte.
Così che tutto dentro di me rievocava la storia dell’eroe, facendomi immedesimare ora nel contadino che aveva schiacciato il drago, ora nel cavaliere che aveva soppresso l’orco, ora nel viandante che era sfuggito all’incantesimo delle streghe.
Trascorsi una parte della mia infanzia dietro e dentro i racconti della nonna. E lei, a sua volta, trascorse la metà della sua esistenza dietro le marmitte, e l’altra metà a zappare l’orto, a raccogliere le olive, ad accudire le capre, occuparsi dei polli, delle galline, dei conigli, della vigna, del fondo connesso alla Fiumara.


Edil Merici

E quando non faceva questo, percorreva a quattro o cinque chilometri in groppa a Contessa, la sua inseparabile somara, e si recava in paese a fare provviste.
Ciò accadeva fino a pochi anni fa a Mirto, in Aspromonte, vicino alle foci della Fiumara Santa Venere, in un tempo e un luogo che, se qualcosa di impossibile ha, è il semplice fatto che non sia più raggiungibile dalle generazioni attuali, o meglio dagli odierni fini concettuali generazionali. Mi svincolavo da questo incantevole periodo solo in primavera e per tutta l’estate, quando ci trasferivamo con il gregge a valle, dove aveva inizio una vasta gamma di nuove magie. Dai dintorni dei campi di grano mietuti e di recente, per esempio, aveva principiato a esplodere la vita, o piuttosto il balsamo della vita: una gradevole combinazione di zagara, oleandro, calicanto, viole, margherite, rose… e ancora di papaveri, avena, gramigna, frumento, ortica, tutte essenze che il vento trasportava da un colle all’altro quasi seguendo un quotidiano proposito. Quello di confermare l’attendibilità del ciclo stagionale.
Accadeva lì, in quel pizzo di paradiso, regno incontrastato di libellule, allodole, quaglie, grilli, farfalle di ogni specie e colore; impero di anguille di terra, di ghiri-pondi, cornacchie, corvi; insomma, un paradiso biondiccio che, aprendosi al caldo sole del mezzogiorno, dava inizio al suo inconfondibile salmodiare. Era la voce dell’Aspromonte che si imponeva imperiosa e legittima. Una voce che (ahimè!) oggi quasi non si sente più. Così come quasi non si scorgono più i grilli per i campi, le anguille di terra, i ghiri-pondi, le farfalle, le allodole. Non esiste più il normale corso della natura né l’evolversi delle stagioni; e da parte dell’uomo non esiste più il rispetto per ciò che lo circonda; non esiste più moralità e riguardo per gli animali e le cose della vita stessa. Esiste solo che ci siamo giocati il Pianeta.
La maggior parte delle specie animali summenzionate, delle cose, delle piante, dei fiori, vuoi per i pesticidi, vuoi per cause naturali, stanno a poco a poco scomparendo; il clima ci si sta barbaramente rivoltando contro, la natura sembra impazzita; e ci sarebbe poi da fare i conti con tutta una lunga serie di fenomeni che si stanno verificando nel mondo. Sebbene queste cose assumano il valore di semplici coincidenze, sarebbe necessario cominciare a porsi delle domande, o piuttosto cominciare a riconoscere che è arrivata l’ora di dare ascolto al buon senso, se ancora ce ne resta.
Perché, che vogliamo riconoscerlo no, è arrivata l’ora di arrestare questa nostra stupida corsa all’autodistruzione.

Foto: Presso al focolare di Cafiero Filippelli

Francesco Marrapodi

Francesco Marrapodi approda a Métis dopo aver ricoperto importanti ruoli in altre testate giornalistiche. 
È stato Redattore Capo per la provincia di Reggio Calabria de “L’Attualità”, collaborato con “Calabria Letteraria” e con “Alganews”, nonché con la testata giornalistica “In Aspromonte”. 
Ha studiato tecniche e metodi di scrittura del “Gotham Writers' Workshop”, è stato inserito nell’antologia “Ho conosciuto Gerico” in onore di Alda Merini con la poesia “La Nova” e fa parte dell’“Unione Poeti dialettali di Calabria”.
L’8 agosto del 2014 ha realizzato sulla spiaggia di Bianco una statua di sabbia raffigurante Papa Francesco, evento recensito da “Famiglia Cristiana” per il quale ha ricevuto il ringraziamento e la benedizione del Papa in persona. 
Si è reso inoltre promotore di una campagna contro l’inquinamento marino con “La morte di Poseidone”, statua di sabbia che ha suscitato grande interesse in tutto il mondo. 
Francesco è oggi un punto di riferimento redazionale su Bianco e dintorni, con un ruolo di primo piano nella Redazione Cultura.

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