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Costume e SocietàLetteratura

Le misure di prevenzione dal fascismo all’epoca repubblicana

Breve storia giuridica della confisca dei beni


GRF

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

A seguito dell’approvazione dei Testi Unici di Pubblica Sicurezza del 1926 e del 1931, avvenuta durante il regime fascista, le misure di prevenzione divennero uno strumento di persecuzione politica ancora più pregnante rispetto alle precedenti normative disciplinanti le misure di prevenzione.
Infatti, durante tale periodo, venne introdotto un tipo di confino da applicare ai contestatori del regime attraverso un procedimento amministrativo ancora più snello.
La competenza all’irrogazione di detta misura passò dal Ministero dell’Interno alla Commissione Provinciale composta dal Prefetto, dal Procuratore del Re, dal Questore, dal Comandante Provinciale dell’Arma e da un ufficiale superiore della Milizia fascista.
Il potere di proposta era stato attributo al Questore e non venne prevista alcuna possibilità di difesa legale.
Tale regime, però, pur inasprendo le misure personali, non ricorse alla confisca generale quale strumento di avversione politica o criminale (fatta eccezione per le confische dei raccolti e delle produzioni in tempo di guerra e per l’ignominia della confisca dei patrimoni agli ebrei).
Altrettanto, invece, non fecero i Governi che si insediarono subito dopo la caduta del regime fascista che, spinti probabilmente dal solo desiderio di rivalsa e di vendetta, introdussero nel 1944 la confisca generale dei beni dei fascisti e dei collaborazionisti col nazismo (Decreti Legislativi e Luogotenenziali nº 134 e 139 del 1944).
Dopo tale periodo di transizione e con l’avvento della Repubblica, era lecito aspettarsi una netta presa di posizione contro le misure di prevenzione e, più in generale, contro tutte le leggi poggiantesi sul mero sospetto di polizia.
Tali aspettative, che certamente albergavano nel cuore del popolo neo-repubblicano, vennero, però, disattese dalla nuova classe politica che, al pari delle precedenti, si mostrò assolutamente riluttante a privarsi di simili strumenti di governo e\o di mantenimento dell’ordine pubblico.
A riprova della riluttanza anche dei neo-repubblicani di privarsi di così potenti strumenti, vi è il fatto che l’Assemblea Costituente, la cui Commissione Giustizia era presieduta dall’Onorevole Enrico De Nicola (primo presidente provvisorio della Repubblica, nonché primo presidente della Consulta)  vagliando la compatibilità costituzionale delle leggi vigenti prima dell’entrata in vigore della Carta Fondamentale, deliberatamente, si astenne dal dibattere sulla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione.
L’omessa valutazione della compatibilità costituzionale è stata una scelta precisa operata da di chi era deputato a riscrivere il patto sociale, considerato che l’unico emendamento all’articolo 13 della Costituzione che prevedeva le tassatività e il controllo giudiziario delle misure di prevenzione, proposto da Pietro Bulloni, non venne assolutamente recepito nel testo definitivo di tale articolo, come ebbe a porre in evidenza il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Leopoldo Elia.

Foto: algoreducation.com


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