Di Massimo Pedullà
Nulla trovo di quel che cerco,
nulla che possa addolcire quell’amaro
che mi porto dentro;
quello scontento che han dentro tanti
e tanto ci accomuna.
Perché cercare? Perché domandarsi?
E non abbandonarsi alla culla del tempo
che passa e tanto si assomiglia;
in quanti in quelle case e strade
prima di pietre
e poi in cemento e di nero bitume,
hanno abitato e attraversato,
quante le fiumare guadate;
quanto il consumar del loro ingegno
e forze;
sospirando altro tempo o altri tempi
senza godersi quello dell’attesa.
Quel tempo che ti gioca a suo piacimento,
e che ti accompagna sin dal nascere
in quel mare dell’amore
e in quel pozzo della sofferenza
e con indifferenza ti conduce alla morte.
Quel morire che tu sai, che conosci
ma che ti illudi non avvenga, non arrivi.
Quella immortalità che in tanti hanno bramato,
bramano o si illudono in quei regni dei cieli
che nessuno ha visto mai.
Qui, sotto la croce d’Akat
e il passo delle galere a vista,
penso a che è la vita… non è crocefissa?
Non è imprigionata? È la stessa natura
dell’uomo, che lo porta a ingabbiarsi,
a chiudersi; per poi cercare di liberarsi,
cercare di scrollarsi sempre quel grumo di dentro.
Chissà se mai in vita si possa trovare
quella pace che tanto si sospira.
O forse la pace è quel profumo,
è quel silenzio degli aspri monti
che ti inebriano e ti incantano la mente.
Quella stessa mente che poi ti grida
e che ti rode dentro.
Foto: quellidelnaso.it