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Attualità

Questione di prospettive

Pensieri, parole, opere… e opinioni

La vita è tutta una questione di prospettive. Azioni che noi consideriamo normali possono essere interpretate in maniera completamente differente da chi vede le cose dall’esterno e tale principio si applica agevolmente a qualunque livello della nostra esistenza, sia esso sociale, legale, persino politico. È per questa ragione che un genitore anziano può interpretare come un ingabbiamento la privazione che gli impone il figlio per il suo bene, che un padre di famiglia può ritenere giusto compiere un furto perché non sa come dare da mangiare ai propri figli o che un’amministrazione che ritiene di agire nell’interesse del paese venga tacciata di incapacità dai suoi oppositori.
Restando in ambito politico, è sempre riconducibile alla prospettiva dalla quale si vogliono osservare le cose che si può definire la ratifica di un atto o persino la formulazione di uno slogan. All’indomani della propria elezione, ad esempio, il Governo Meloni, volendo celebrare il proprio risultato sottolineando lo spirito patriottico con il quale intendeva gestire l’Italia, ha preso a prestito uno dei più celebri passaggi dell’Inno di Mameli e una foto dell’Altare della Patria per realizzare una grafica accattivante e in grado di comunicare all’elettorato la necessità di avere fiducia nel futuro e il messaggio che i guai dell’Italia fossero finiti già solo con il semplice atto elettivo. Indipendentemente dall’immagine, infatti, significativo, dicevo, era il verso dell’Inno utilizzato, “l’Italia s’è desta”, come a celebrare una sveglia collettiva che avesse determinato l’imbocco di un strada lastricata di successi e governabilità. Nella mia analisi del voto delle Politiche anche io avevo titolato utilizzando un verso dell’Inno di Mameli, ma avevo scelto, a differenza dell’Ufficio Stampa del Governo, “l’Italia chiamò” che, nel caso di specie, faceva riferimento alla chiamata del popolo che era un appello alla responsabilità che, sempre sulla base dello spirito patriottico propagandato in campagna elettorale (anche attraverso quella bell’immagine dell’Altare della Patria) avrebbe dovuto determinare il ritrovamento di un’unità nazionale in grado di dare il la a un futuro in cui le differenze erano state appianate e si fosse agito nell’esclusivo interesse del Paese. Due sfumature differenti che, a quasi sei mesi da quella giornata elettorale, rendono abbastanza chiaro quale sia la disposizione con cui il centrodestra ha fatto il suo ingresso tra le stanze di Palazzo Chigi e, probabilmente, anche del perché uno dei suoi cavalli di battaglia sia quello dell’autonomia differenziata.
A tale proposito, sulle pagine del nostro giornale abbiamo fino a oggi raccolto tante opinioni ma non ne abbiamo mai espresso una personale in merito e, benché i lettori più attenti potranno comprendere da queste mie righe quale sia la mia predisposizione nei confronti del tema, continuo a ritenere che non sia questa la sede adatta a trattare un argomento che trovo di una complessità disarmante e che, ogni volta che approfondisco, fa sorgere in me più domande di quelle a cui vorrei cercare di dare una risposta. Non voglio credere che un intero Consiglio dei Ministri (e 16 governatori di Regione) possano essere favorevoli a una norma che, come qualcuno afferma, sembra scavalcare la Costituzione e minare i diritti dei cittadini, né credo ciecamente alle prospettive di totale ingovernabilità che gli scenari più oscuri tratteggiano, tuttavia ho la quasi matematica certezza che non tutti i territori avranno i benefici sperati dall’applicazione del Disegno Di Legge Calderoli e il timore concreto che anche chi ritiene convintamente che, tutto sommato, la norma possa rappresentare un’opportunità (ogni riferimento al presidente Roberto Occhiuto è puramente voluto), si troverà a dover far fronte a una bella gatta da pelare.
Così come gatta da pelare è stata quella che sempre il Governo si è ritrovata tra le mani in occasione del chiacchieratissimo Consiglio dei Ministri tenuto a Cutro, un’azione simbolica che doveva placare gli animi adottando eclatanti contromisure alla tratta degli esseri umani che ha causato l’ennesima, indigeribile strage di innocenti, ma ha finito invece con l’attirare le ire di attivisti, cronisti e qualche cittadino e di cui, all’atto pratico, si è parlato ancora una volta più per il clamore mediatico che non per le determinazioni (per lo più ancora avvolte nella nebbia) prese in quell’occasione. Per tornare al tema delle prospettive con cui abbiamo aperto queste riflessioni, ciò che doveva raddrizzare le parole improvvide pronunciate all’indomani della strage dal Ministro Matteo Piantedosi, ha invece riacceso l’astio dei cittadini, se consideriamo che, proprio a partire dal giorno di quel fatidico Consiglio dei Ministri, sulla rete ha ricominciato a spopolare l’hashtag #Governopeggioredisempre.
È, insomma, tutto da buttare? Probabilmente no, ma è vero che sia da una parte sia dall’altra bisogna cercare di analizzare oggettivamente le cause di determinati comportamenti per comprenderne meglio gli effetti e poi scavare, scavare a fondo per assicurarsi che ciò che stiamo osservando non sia frutto di una suggestione ma sia l’indice di qualche dinamica che sta cambiando davvero, un po’ come credo che bisognerebbe fare a Siderno, dove le fiamme hanno ripreso ad ardere con un po’ troppa insistenza in troppe poche ore…

Foto: ilgiornaleditalia.it


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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