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Costume e SocietàLetteratura

Un caso di giustizia ad Atene

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

L’Areopago ad Atene è maestoso, Agesilao. Ti dà la sensazione di essere vicino agli Dei. E chi è vicino agli dei non può sbagliare. All’improvviso ero contento, perché ero certo che in quel luogo avrei avuto improvvisamente la mia rivelazione che mi avrebbe fatto fare pace con il mondo intero. Era di notte, Agesilao, perché ad Atene i processi si tengono di notte e con le fiaccole. E questo perché, quando il difensore dell’imputato parla, il giudice possa sentire la voce, ma non vedere la gestualità per non farsi influenzare dall’istrionismo dell’oratore. Pensa, Agesilao, in Egitto il giudice deve giudicare solo leggendo i verbali; così potrà vedere solo i fatti e non farsi guidare dalle sensazioni. L’eleganza delle vesti del magistrato che giudicava denotava ricchezza e maestà: vestiva come un re orientale. Le fiaccole illuminavano il promontorio e la gente, tutta elegante, assisteva composta con passione. Gli anziani seduti in circolo, che fungevano da giuria, dichiarano di avere fatto una lunga istruzione della causa, per come richiesto dalla legge e così illustra all’imputato e al pubblico le sue conclusioni.
«
Tu, Tricca, sei accusato di avere ucciso Leukòs, che era alla tue dipendenze, con una spada usata come un bastone. Leukòs non era un servo, ma un uomo libero alle tue dipendenze. Non aveva capito i tuoi ordini e continuava a lavorare secondo il suo ingegno. Poiché la credevi un’insubordinazione, hai reagito con violenza» precisò il più anziano magistrato, che continuò:
«
Le forme di legge sono state rispettate. La giustizia appartiene ai privati, ma siccome il fratello ti accusa, deve avvenire che la pòlis ti giudichi. Alla giuria è affidato il compito di giudicare sulla colpevolezza, a noi stabilire la pena. Il fratello della vittima ha rispettato tutte le forme. È andato sulla tomba del fratello e vi ha piantato una lancia invocando la vendetta per questo omicidio. Ora tocca a te, o al tuo difensore, parlare. Ma prima aspetta che vengano spente le fiaccole vicino a te
Al posto di Tricca si si accinse a rispondere Demostene, senza che il Magistrato fosse sorpreso, tanto che domandò:
«
Tu sei un synégoros e pronunci un lògos al posto di Anassimene?»
Demostene prese subito la parola, dicendo:
«
Non vi è, bisogno magistrato, che siano spente le fiaccole. Tricca riconosce la richiesta di giustizia del fratello di Leukòs, e per riparare ha offerto come come risarcimento danno un fonduscolo con quattro mucche. Egli ha accettato. Puoi renderti conto direttamente tu, poiché sia chiaro alla pòlis che Tricca ha pagato il suo debito» disse subito Demostene.
Il magistrato aveva previsto la soluzione. D’altronde Tricca era ricco, che senso aveva rischiare la pena capitale?
«
È vero quello che dice il tuo difensore?» chiese il giudice.
«Un fonduscolo fertile ho dato a Dione e quattro vacche. Una è addirittura gravida» rispose subito Tricca.
«
E Tu Dione hai accettato il risarcimento? Ritieni che la tua offesa sia stata giustamente riparata? Tu ritiri la tua querela?» pose secondo le formalità della legge tre domande al fratello del povero Leukòs.
«
Io dò atto pubblicamente che l’offesa è stata riparata e il mio onore salvo di fronte agli Dei e alla città di Atene, ora che l’offerta è pubblica e Tricca non la può più ritirare, io ritiro ogni lamentela nei suoi confronti» rispose con grande dignità dando risposta alle tre domande.
«
La richiesta di punizione è privata e il pagamento della poinè fa venire meno la punizione della pòlis. Tu, Tricca, puoi andare in pace, perché hai pagato il tuo debito con la società» disse come conclusione alla farsa che Zaleuco osservava.
Ma il processo non era finito se prima il magistrato, formalmente, non lo dichiarava. Cosa che fece subito.
«
Il processo è finito. Ognuno di voi può tornarsene a casa» concluse finalmente il magistrato.
«Sappi Agesilao – disse Zaleuco – che gli Ateniesi sono dei commercianti nati. Tutto ha un prezzo, anche la vita, l’onore e la dignità umana
La Dèspoina non mi fece neppure fare un cenno con le ciglia. Alla fine del processo mi trovai nuovamente a Gortina, nell’agorà davanti al Buleterio, con la mia solitudine che stava diventando disperazione. La mia Regina lo capì e mi chiese:
«
Che ne pensi, Zaleuco? parla senza nascondere il tuo disappunto, poiché dalla riflessione nascono cose buone.»
E io decisi di non nascondere niente, perché a una Dea potente e vendicativa non si nasconde niente e dissi:
«
Tre casi dello stesso omicidio mi hai mostrato e tre sono state le pene che i giudici hanno applicato. Ma se tutti quelli che credono agli Dei e pongono gli occhi verso il cielo e vedono l’ordine e tutto l’apparato meraviglioso che ci sta intorno e sono persuasi che tutto non sia opera del caso, né della mano degli uomini, ciascuno deve pensare che se l’uomo danneggia questo ordine esso va nuovamente ristabilito. A chi fa un male, lo stesso male deve pagare e se dalla sua azione nasce un male diverso da quello voluto, anche per questo male deve pagare. Dèspoina, nessun senso ha uno Stato, una Pòlis, se tutti i cittadini non hanno l’obbligo di ubbidire alle leggi promulgate e permanenti. Perché nessuno deve stimarsi superiore a esse e nessuno è posto di credersi inferiore nel comando» risposi alla Dea, che subito mi chiese di chiarire il concetto e io, ormai un fiume in piena chiarì subito:
«
A Micene ho avuto l’impressione che il magistrato ubbidisse, più che alla sua convinzione, al suo desiderio di vendicare un amico o, peggio, di vendicare la dignità della sua veste sporcata…»

Foto: donbosco.netsons.org


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