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Costume e SocietàLetteratura

Leggi sull’adulterio nell’antica Grecia: prospettiva e prassi

La Repubblica dei Locresi di Epizefiri

Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Anche nel male la donna presso i Greci non era presa in considerazione. A Gortina ma non solo.
In Attica, con l’aiuto di Demostene, si conosce l’intera procedura della moichéia, anche perché una riforma di Dracone, riportata anche dal Nostro, ci permette di conoscere la legge aeropagita:

Se uno uccide nelle gare involontariamente, o nella strada, o in guerra per errore, o (colui che sorprende in rapporti carnali) con la moglie, la madre, la sorella, la figlia o la concubina, che tenga per avere figli liberi, non deve per questi motivi andare in esilio.

Dracone o Draconte, (VII secolo avanti Cristo) diede ad Atene le sue prime leggi in materia che oggi diremmo penale, con le quali veniva vietata la vendetta privata dei torti subiti. L’ispirazione alla legislazione ateniese è locrese, tanto che lo si vuole discepolo di Zaleuco. Dracone disciplinò il reato di omicidio in ogni suo aspetto, prevedendo anche l’ipotesi della preterintenzione, e dell’omicidio legittimo. In tutti i casi occorreva una pronuncia del Tribunale. Nella materia che interessa, Dracone aveva disciplinato anche l’ipotesi dell’adulterio, sotto forma di dìcaios, vale a dire diritto legittimo. L’omicidio legittimo è ricordato da Demostene: l’uccisione involontaria durante le gare atletiche o di pugilato, l’uccisione di un commilitone in guerra per errore (oggi diremmo colpito da fuoco amico), l’uccisione di un brigante nel corso di un assalto per strada, infine l’uccisione di un uomo sorpreso in rapporti carnali con la moglie, la madre, la sorella, la figlia o la concubina tenuta per avere figli liberi, non era punibile.
La normativa allarga e di molto le ipotesi di adulterio, perché l’autosoddisfazione per il reato era permessa non solo per l’adulterio della moglie, ma anche per quello della madre vedova, della figlia non sposata, della sorella o della concubina di un cittadino ateniese. La moichéia, quindi, non teneva in conto solo il legittimo matrimonio, ma anche i rapporti sessuali con donne nubili o con vedove/divorziate. Perché, come diceva Lisia:“…e non si sa più quali figli sono dei mariti e quali degli amanti.”La cosa più incredibile è che l’azione per la punizione dell’adultero era di natura pubblica, per cui qualsiasi cittadino che era a conoscenza dell’adulterio poteva agire.
Ma la pena non consisteva semplicemente nella possibile uccisione dell’adultero trovato in flagranza di reato, ma poteva essere pecuniaria. Nella citata orazione di Demostene contro Neera, l’adultero Efeneto, in congresso carnale con la figlia Fanò, imprigionato dal padre, ottenne la libertà previo pagamento della somma di 30 mine. Mentre in un altro caso, l’offerta di moneta non fece sfuggire alla morte Eratostene, che sul fatto fu ucciso da Eufileto.
Si ricava così una possibile alternativa alla morte dell’adultero. La persona offesa poteva tenere in prigione per un tempo limitato (anche se non vi è letteratura) l’adultero al fine di ottenere il risarcimento per l’illecito. Quella di farsi pagare non era certo una scelta onorevole, per cui pochi sono stati i casi verificatesi e perciò poca l’attenzione dedicata dagli Ateniesi.
Potevano esserci casi di simulazione. Nel senso che l’accusa di adulterio che provocava l’imprigionamento era falsa o ritenuta falsa. Così Epeneto, sempre nell’orazione contro Neera:

Ed Epeneto, uscito di là, e divenuto padrone di se stesso, promuove contro questo Stefàno davanti ai Tesmoteti, un’accusa di essere stato ingiustamente sequestrato da lui, in forza della legge che stabilisce che se uno sequestri illecitamente un altro come adultero, il sequestrato iscriva davanti ai Tesmoteti un’azione per ingiusta accusa di adulterio e se dimostri che colui che ha sequestrato è colpevole e risulti che costui abbia tramato ingiustamente, il sequestrato sia libero, e i garanti sciolti dalla garanzia; se invece risulti che il sequestrato è un adultero, la legge comanda che i garanti lo consegnino a chi lo ha sorpreso in flagrante, e costui dinanzi al tribunale lo sottoponga al trattamento che vuole, in quanto adultero senza usare armi da taglio.

Dunque, il marito tradito, in caso di rigetto della domanda, per così dire, di ingiusta detenzione del presunto amante, poteva essere sottoposto a sevizie e anche ucciso a bastonate o anche col laccio, senza che si spargesse sangue con armi da taglio. Si invertivano le posizioni, ma la pena, se da una parte era un deterrente, se applicata molto sanguinosa. Si rifletta sul tema al momento in cui si dice da tutta la critica che solo a Locri vigeva la legge del laccio.
Anche in Attica non era prevista la punizione dell’adultera. Invero, la donna, seppur colpevole, non poteva essere uccisa e neppure accusata di adulterio, ma di un fatto diverso anche se connesso, come violazione di norme religiose o dei doveri di famiglia. Così la legge:

La legge non consente che la donna che sia stata sorpresa con l’adultero si adorni e partecipi alle cerimonie pubbliche nei sacrari, perché ella non contamini, mescolandosi con esse, le donne incolpevoli; se ella vi entri e si adorni, la legge dà diritto a chicchessia di stracciarle le vesti, di strapparle via gli ornamenti e di percuoterla, purché si astenga da ucciderla o mutilarla, disonorando per tal modo una simile donna e rendendole impossibile la vita.

Foto: Susanna accusata di adulterio di Antoine Coypel

Redazione

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