Di Giuseppe Pellegrino
Seppur datato ufficialmente nel 368 d.C. a opera degli imperatori Valentiniano I e Flavio Giulio Valente, il Livello discende dall’Istituto greco.
Com’è noto è un contratto agrario in grande uso nel Medioevo, che consisteva nella concessione di una terra dietro il pagamento di un fitto. Il diritto, cosiddetto dominio utile, col tempo, divenne alienabile. Il termine livello, etimologicamente, deriva da libellus, vale a dire il documento che incartava il contratto, nel quale erano previsti e specificati gli obblighi gravanti sul livellario: “duo libelli pari tenore conscripti”, o precario, figura appartenente al diritto intermedio, traeva vita da una stipulazione in forza della quale un bene immobile, per lo più un fondo, veniva concesso per un certo termine verso il corrispettivo di un canone livellario (anche detto censo). Alla scadenza prevista il contratto era rinnovabile, in esito al versamento di un ulteriore canone livellario. Erano concessi a livello molti beni della Chiesa e dei Comuni che in questo modo, da un lato, aderiva alla richiesta di concessione del temporaneo godimento (allo scopo di coltivazione, di abitazione) da parte dei singoli, dall’altro, evitava di perdere la proprietà del bene.
La durata del livello poteva essere ventennale o perpetua. Nelle zone della Locride il livello era perpetuo, tanto che un Grande Giurista come Salvatore Pugliatti lo individuava come una forma di proprietà, con il limite del pagamento di un onere non su base contrattuale, ma su base censuaria.
È bene specificare che nella realtà della Locride (ma non solo), il libellus non veniva mai sottoscritto tra privati, ma da parte un Ente Pubblico (Comune in genere), o un Ente Ecclesiastico (in persona del Parroco all’origine, oggi dall’Istituto per il sostentamento del Clero), e dall’altra un privato. In concreto non vi era una vero e proprio atto scritto. A partire dall’istituzione del catasto vi è solo un’indicazione: intestazione catastale Tizio, Livellario Comune o Chiesa, o Ente Parrocchiale.
Sia nel caso del klèros sia in quello del livello, come in altre realtà giuridiche (vedi il Maso chiuso, o la concessione del Sulcis in Sardegna), Salvatore Pugliatti, uno dei grandi giuristi del ‘900, parla di proprietà al plurale, osservando giustamente che non vi era un concetto monolite al riguardo, ma occorre sfaccettare la figura, che era complessa.
Oggi come oggi è una forma equiparata alla Enfiteusi ed è soggetta al Diritto di affrancamento, che può essere esercitato in modo diretto che in via giudiziaria.
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