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Costume e Società

Il dubbio ragionevole

Le riflessioni del Centro Studi


Gedac

Di Angelica Commisso

Il principio della presunzione d’innocenza, previsto dall’articolo 27, 2º comma della Costituzione, impone all’accusa di fornire la prova della responsabilità dell’imputato, fugando “ogni ragionevole dubbio” riguardante la possibilità di ricostruzioni alternative dei fatti. L’oltre ogni ragionevole dubbio deve costituire la regola probatoria e di giudizio nel processo penale, indispensabile per assicurare la protezione degli innocenti e il rispetto dei fondamenti costituzionali dello Stato, trovando riscontro positivo negli articoli 2, 3, c. 1, 25, c. 2, 27 della Cost., costituendo così diritto vigente nel nostro Paese. Con la previsione della regola per la quale il Giudice pronuncia sentenza di condanna solo se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, il Legislatore ha formalizzato un principio già acquisito in tema di condizioni per la condanna, stante la preesistente regola, di cui all’art. 530, c. 2, del Codice di Procedura Penale, per la quale, in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova, l’imputato va assolto. Quindi, l’accertamento della responsabilità penale si basa sul principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che rappresenta il limite alla libertà di convincimento del giudice, apprestato dall’ordinamento per evitare che l’esito del processo sia rimesso a apprezzamenti discrezionali, soggettivi e confinanti con l’arbitrio: si tratta di un principio che permea l’intero ordinamento processuale e che trova saliente espressione nelle garanzie fondamentali inerenti al processo penale, quali la presunzione di innocenza dell’imputato, l’onere della prova a carico dell’accusa, l’enunciazione del principio in dubbio pro reo e l’obbligo di motivazione e giustificazione razionale della decisione a norma degli artt. 111, c. 6 della Cost. e 192, c 1 del CPP. La modifica dell’art. 533 del CPP ad opera dell’art. 5 della Legge nº 46 del 20/2/2006 ha carattere meramente descrittivo più che sostanziale e riconosce al Giudice una discrezionalità che solo l’operare dell’accusa e della difesa con-sente di arginare, quindi le contrapposte tesi. Il Legislatore non ha introdotto un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova, ma ha formalizzato un principio già acquisito, ossia la condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’importato: “colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio”. L’art. 442 del Regolamento di procedura criminale del 5 novembre 1831 di Papa Gregorio XVI si pone come precursore dell’odierno principio, statuendo che:

Il Giudice è tenuto a rispondere secondo l’intima convinzione della propria coscienza, e secondo l’impressione ricevuta dalla sua ragione presso le prove o gl’indizi […] dalla riunione dei quali deve essenzialmente dipendere la pienezza o sufficienza della certezza morale che rimuove dal di lui animo ogni ragionevole esitazione.

Carl Joseph Anton Mittermaier, ne Il processo orale, accusatorio e per giurati secondo le varie legislazioni (1845), richiama il dettato Papale esplicandolo nel dettato “ogni ragionevole dubbio”. “Nei casi dubbi si decida per il giusto” scriveva Karl Kraus o, ancora, Francesco Mario Pagano, giurista napoletano del primo ’800, che ne Logica de’ probabili, citava in epigrafe un passo della Retorica di Aristotele, ove si diceva che il miglior modo di decidere le controversie è che «non basta confutare un argomento perché non è necessario ma si deve confutarlo perché non è verosimile». Il principio in parola, quindi, non è un novum nel panorama giuridico. L’onere probatorio di dimostrare la colpevolezza dell’imputato grava sulla Pubblica accusa che deve provare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, mentre all’imputato è sufficiente insinuare il dubbio ragionevole, al fine di veder dichiarata la sua innocenza. Il sistema processuale penale, dunque, è esso stesso a struttura asimmetrica, poiché volto ad assicurare un ambito di tutela anzitutto e prioritariamente a colui il quale sia sottoposto ad un’accusa. Di conseguenza, si è affermato, ancora, che il principio costituzionale del contraddittorio non rappresenta una risorsa dispensata alle parti allo stesso modo e con la stessa intensità, come dimostra la formulazione dell’art. 111 della Cost., c. 5, che prevede il consenso dell’imputato, e non di altri, per la perdita di contraddittorio nei casi consentiti dalla legge. Ciò lascia intendere che la garanzia del contraddittorio nasce e si sviluppa come garanzia in favore dell’imputato entro limiti di complessiva ragionevolezza rispetto agli altri valori costituzionali in gioco, con il principio di parità delle parti e con l’ottica del giusto processo.

Foto: meritocrazia.eu

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 28/10/2022


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