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Costume e Società

La codicizzazione del principio di offensività

Le riflessioni del Centro Studi


Edil Merici

Di Donato Iacopino

Guardando ai possibili sistemi penali, si può riscontrare che essi sono sostanzialmente due, quello oggettivo e quello del fatto. Il diritto penale oggettivo s’incentra attorno alla condotta e al suo risultato, legati fra loro dal nesso di causalità, e il reato viene attribuito sulla base del mero riscontro di tale legame. Il diritto penale del fatto, invece, ruota attorno all’equazione reato = fatto umano ed è sorretto da tre distinti e concorrenti principi, ovvero il principio di materialità, di offensività e di soggettività. Esso, conseguentemente, ritiene sanzionabili penalmente solamente quei fatti che si manifestano nel mondo esteriore, che sono riconducibili al soggetto attivo e che sono idonei a offendere o mettere in pericolo il bene o interesse giuridico tutelato dalla norma che si assume violata. Essendo anche quello italiano un sistema di diritto penale del fatto, esso, al pari degli altri sistemi, è sorretto dai suddetti tre principi, tuttavia qui ci occuperemo del solo principio di offensività, anche se in maniera sommaria e finalizzata delle sue attuali applicazioni ed accezioni.
Il principio di offensività è quel principio che subordina la sanzione penale a un’offesa al bene giuridico tutelato da una norma penale. Offesa che può assumere sia la forma dell’effettiva lesione sia quella dell’esposizione al pericolo, essendo assolutamente pacifico (anche per la Corte Costituzionale) che è legittima e ragionevole la scelta del legislatore di anticipare la soglia di punibilità alla mera messa in pericolo di quei beni giuridici ritenuti particolarmente importanti (Reati di pericolo). Esso, oltre a costituire un limite generale ai poteri del legislatore, opera anche qualora si verifichi che una condotta tipicizzata, ovvero compiutamente prevista e descritta da una determinata norma penale, viene posta in essere nella sua interezza ma, ciò nonostante, il bene giuridico non subisce alcun nocumento, nemmeno potenziale. Consumazione della condotta senza danno per il bene giuridico che, di primo acchito, sembrerebbe un paradosso. Tuttavia ciò si verifica più volte di quanto si è propensi a ritenere ed è causato, paradossalmente, proprio dal principio di legalità che (imponendo che al fatto preesista la norma) obbliga il legislatore a normativizzare per tipi di condotte, ovvero per clausole generali che, necessariamente, debbono anche essere chiare e precise, ossia debbono descrivere con accuratezza il reato e le relative sanzioni. Essendo questo il percorso che il principio di legalità impone al legislatore, può accadere che all’interno di una clausola generale ricada anche una tipologia di condotta che, anche se interamente consumata, non lede o mette in pericolo l’oggetto giuridico.
Passando poi e in maniera più dettagliata alla collocazione sistematica del principio di offensività, vi è da riscontrare l’assoluta concordanza sul fatto che esso sia espressamente previsto dal secondo comma dell’articolo 49 del Codice Penale, disciplinante i due casi di reato impossibile. Pur concordando tutti sulla tipizzazione di tale principio, non vi è però unitarietà di vedute circa la sua valenza e la sua portata, sussistendo al tal proposito due diverse e contrapposte concezioni. Secondo la prima di tali concezioni, il secondo c. dell’articolo 49 del CP altro non sarebbe che un inutile doppione in negativo dell’art. 56 del CP. Secondo costoro, infatti, l’espressione “inidoneità dell’azione”, contenuta in detto c., è assolutamente sovrapponibile all’espressione “l’azione non si compie”, contenuta invece nell’art. 56 del CP. Sovrapponibilità avente quale conseguenza che se gli atti risulteranno idonei, sulla scorta di un giudizio probabilistico ed ex ante, si avrà un delitto tentato, se invece essi risulteranno inidonei ci si troverà in presenza di un reato impossibile. Successivamente a tale prima e originaria concezione del principio di offensività, precisamente intorno agli anni ’70 dello scorso secolo, venne proposta una nuova interpretazione del secondo c. dell’art. 49 del CP da parte dei fautori della concezione realistica del reato, ovvero da parte di coloro che ritengono che l’offensività vada intesa come una componente tipica del reato, al pari degli altri elementi costitutivi. Secondo tale nuova concezione, l’art. 49 non sarebbe assolutamente un doppione in negativo del delitto tentato ma una norma di portata generale, introducente il principio di necessaria offensività del reato. A confutazione della precedente tesi e a sostegno della diversità delle due norme e della ritenuta portata generale dell’art. 49, i propugnatori di tale seconda concezione fecero ricorso principalmente a due argomentazioni supportanti la diversità e indipendenza delle due norme. Con la prima di dette due argomentazioni costoro rimarcarono i diversi ambiti di operatività delle due norme, risultando l’art. 49 applicabile indistintamente a tutti i reati, mentre l’articolo 56 ai soli delitti. Con la seconda argomentazione, invece, fecero leva sui diversi presupposti applicativi delle due norme, ovverosia sul fatto che l’articolo 56, facendo riferimento agli atti, presuppone che la condotta si sia interrotta, mentre il secondo comma dell’articolo 49, riferendosi all’inidoneità dell’azione, presuppone che tutta la condotta sia stata posta in essere senza che però il bene giuridico tutelato dalla norma penale subisca lesione alcuna. Lesione al bene giuridico che, secondo i fautori della concezione realistica, andrebbe di volta in volta accertata con giudizio ex post e, in concreto, non invece con giudizio ex ante e probabilistico, per come invece ritengono i fautori della prima concezione.

Continua…

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 28/10/2022


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