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Costume e SocietàLetteratura

Un caso di Giustizia a Sparta

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Il Buleterio di Sparta era spoglio e severo, come con povertà era vestito l’illustre magistrato Anassimene. La sua veste, più che una tunica, era un sacco con tre buchi, uno per la testa e due per le braccia. Di questa ostentazione di povertà, l’uomo era orgoglioso. Ma ogni spartano, seppure ricco, ostenta sempre una povertà che non ha. Gli Spartani non lavorano considerando disdicevole per la loro condizione. E il lavoro lo fanno gli iloti e i perieci. Mangiano alla mensa pubblica, quella spaventosa minestra che è lo zumos, a base di orzo e forse anche di segala cornuta. Si allenano sempre per la guerra e tra loro sono tutti uguali, ma nei confronti degli inferiori sono terribilmente severi.
Anche lo scomodo scranno dove si era seduto il magistrato era fatto di quattro assi di legno. Tutto il suo insieme mostrava povertà, forza e dignità.
I soldati introdussero un uomo portentoso nell’aspetto. Certo un atleta che aveva vinto le Olimpiadi. Tutto il suo corpo era degno di quello di Ercole. Eppure era legato fra quattro soldati.
«Come si chiama e di che cosa è accusato?» domandò al soldato il magistrato, che era attento al fisico dell’uomo, che considerava il vero prototipo di Spartano. Sparta era la pòlis più invincibile sulla terra, ma con uomini così, pensò il magistrato, nessuna impresa era impossibile.
«Si chiama Tricca ed è accusato della uccisione di Leukòs, magistrato. Tu conosci certamente il gioco con i ferri di cavallo. Era stato messo un piccolo paletto nel centro dell’Agorà e ognuno tirava un ferro di cavallo da una distanza di circa cinquanta piedi. Vinceva chi faceva agganciare attorno al palo più ferri da cavallo. Tricca si sentiva il migliore. Sai magistrato, ha vinto le Olimpiadi nella lotta. Ma Leukòs era più abile. E di questa abilità menava vanto, prendendo in giro Tricca dicendo: “In un othismos, uno scontro tra soldati, certamente il comandante ti metterà al primo posto, perché per spingere hai il fisico. Io vengo messo al centro, perché ho l’abilità di uccidere”.
«Questo ha innervosito Tricca che, all’ennesima burla, con volto irato, prese Leukòs per la testa e gli spezzò l’osso del collo. Poi con il ferro di cavallo che aveva in mano lo colpì più volte in faccia sfigurandolo. Così è stato ucciso Leukòs ed io ero presente, ma non ho fatto in tempo a intervenire» concluse il soldato.
«Tu che hai da dire in tua difesa?» disse Anassimene all’omicida.
«Leukòs è morto durante uno scontro nel corso del gioco. Non ho voluto ucciderlo volontariamente. Lui diceva di avere fatto centro con il ferro di cavallo e ridendo era andato a prenderlo e schernirmi. Io di rincorsa sono andato a fermarlo perché volevo vedere bene, perché non mi sembrava che il ferro di cavallo si fosse agganciato al paletto. Mentre lui tornava ed io andavo ci siamo scontrati. Leukòs è caduto ed ha sbattuto con la testa. Leukòs, magistrato, doveva finire sul monte Taigeto alla sua nascita; non era un vero spartano, ma un omuncolo che sicuramente in guerra si nascondeva dietro chi era più forte e poi millantava gesta eroiche» disse di getto Tricca, senza tema di essere smentito.
Anassimandro guardava l’uomo e di nuovo la sensazione che un guerriero di tale possanza potesse essere sottratto alla patria e alla guerra lo fece rabbrividire. Sicuramente era stato un omicidio, ma il racconto di Tricca era valido. Toccava a lui decidere ed egli era un
autognòtos, ossia uno che aveva in sé la conoscenza e perciò toccava alla sua saggezza dare un responso. E la decisione fu presa subito:
«
Io dichiaro – disse il magistrato con lo stesso tono imperioso che aveva avuto Anassimandro a Micene – che la morte di Leukòs è avvenuta nel corso di una tenzone sportiva e perciò non può essere punita con la pena esiziale. Tu puoi essere ancora di aiuto alla patria, Tricca, ma devo condannarti alla pena dell’esilio per un’Olimpiade. Ricordati che se tu torni prima del finire della pena, potrai essere ucciso. Ma se in una guerra fuori di Sparta, il Diarca riterrà di avvalersi del tuo coraggio, potrai aggregarti all’esercito e combattere.»
La Dèspoina anticipò ogni mio gesto. Ero disperato, Agesilao. In poco tempo avevo visto consumare due ingiustizie nella patria delle leggi. Ma forse la Regina mi avrebbe mostrato la vera giustizia.


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