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Aggressioni ai medici: sfide e possibili soluzioni

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Edil Merici

Nella giornata di ieri ho ricevuto un messaggio che mi riferiva l’ennesimo assurdo caso di aggressione a un componente del personale sanitario del nosocomio di Locri. Senza entrare nel dettaglio della faccenda, della quale devo ammettere di non aver trovato riscontri, resta il fatto che nell’ultimo periodo il fenomeno delle aggressioni ai medici all’interno degli ospedali è diventato sempre più diffuso e preoccupante, secondo probabilmente solo a quello delle intimidazioni agli operatori della fede.
I professionisti della sanità, impegnati nel loro lavoro quotidiano per garantire cure adeguate ai pazienti, si trovano spesso vittime di atti di violenza verbale e fisica, mettendo in pericolo non solo la loro incolumità, ma anche la qualità dell’assistenza sanitaria.
Questa crescente tendenza alle aggressioni nei confronti del personale medico rappresenta una seria minaccia per il sistema sanitario nel suo complesso, figurarsi quanto il fattore aumenti esponenzialmente in realtà periferiche e problematiche come la Locride, dove la percezione di una sanità non all’altezza fa saltare fin troppo facilmente la mosca al naso di pazienti esasperati. Il fenomeno, insomma, assume le caratteristiche del classico cane che si morde la coda, considerato che non solo impatta negativamente sul benessere dei professionisti della salute, ma compromette anche la fiducia e il rapporto di collaborazione tra medici e pazienti, facendo scadere ulteriormente la qualità del servizio.
Le cause di questo fenomeno sono molteplici e complesse, ma è chiaro che è necessario agire con determinazione per contrastarlo efficacemente.
Una delle prime misure che potrebbero essere adottate è dunque l’implementazione delle forze di polizia all’interno degli ospedali e dei punti di controllo delle Aziende Sanitarie Provinciali. Soluzione più facile a dirsi che a farsi, direte giustamente voi, tanto più che, di questi tempi, è a dir poco complicato riuscire a trovare anche solo le risorse per siglare un accordo con una società di sorveglianza che possa assolvere tale compito.
L’obiettivo di questa presenza, in ogni caso, sarebbe quello di garantire un ambiente sicuro e protetto per il personale medico e per i pazienti, dissuadendo potenziali aggressori e reprimendo tempestivamente eventuali episodi di violenza. Le forze dell’ordine potrebbero svolgere un ruolo attivo nella prevenzione e nella gestione delle situazioni di tensione, offrendo supporto e protezione al personale sanitario.
Ma se le prime a non arrivare a una conclusione di tal genere e a impegnarsi a trovare le risorse necessarie a metterle in pratica sono le istituzioni preposte, che cosa mai potranno fare gli organi territoriali per cercare di cancellare con le sole proprie forze la tendenza?
L’unica soluzione attuabile, dunque, sembra essere la promozione di campagne di sensibilizzazione ed educazione rivolte sia ai pazienti sia al personale ospedaliero, al fine di promuovere il rispetto reciproco e la consapevolezza dei rischi legati alle aggressioni in ambito sanitario. Queste iniziative dovrebbero sottolineare l’importanza del dialogo e della comunicazione efficace nella gestione dei conflitti, fornendo strumenti e strategie per affrontare situazioni di tensione in modo costruttivo e non violento.
Ma le campagne di sensibilizzazione, da sole, non possono essere sufficienti, pertanto mi pare essenziale rafforzare anche i protocolli di sicurezza negli ospedali, implementando sistemi di sorveglianza e controllo che possano individuare tempestivamente eventuali comportamenti minacciosi o pericolosi. Inoltre, è importante garantire un adeguato supporto psicologico e legale al personale medico vittima di aggressioni, al fine di tutelarne il benessere emotivo e professionale, limitando, perché no (e qui torniamo a parlare più nello specifico di Locride) la convinzione di trovarsi a dover operare in una sorta di Far West in cui il gioco dello stipendio fisso non vale la candela della salute fisica e mentale.
Insomma, il fenomeno delle aggressioni ai medici in ospedale rappresenta una sfida complessa che richiede un approccio integrato e multifattoriale, ma ho seri dubbi che, alle nostre latitudini, possa essere approntato in maniera lineare come la mia analisi pretende di fare. È fondamentale, dunque, agire con determinazione e coerenza per contrastare questa piaga sociale, proteggendo il lavoro e la sicurezza del personale sanitario e garantendo un ambiente ospedaliero sicuro e accogliente per tutti, elemento che migliorerà anche la percezione dei pazienti e, in definitiva, sarà in grado di migliorare concretamente il servizio.
Ma chi prenderà l’iniziativa per invertire la tendenza?

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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