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Costume e SocietàLetteratura

Il matriarcato

Di Giuseppe Pellegrino

Occorre non confondere il matriarcato con la matrilinearità, per la quale le linee ereditarie si seguono per via muliebre. Nelle società primitive non era un fatto raro, posto il principio mater semper certa est, pater nunquam, per cui l’esigenza sociale che la filiazione faccia riferimento almeno a un genitore certo per poter costituire una linea ereditaria. A Locri è più giusto parlare di matrilinearità e non di matriarcato. E tuttavia, a Locri, queste conclusioni fanno deviare dalla verità. Per cui è conveniente trattare l’argomento in linea generale per poi entrare nello specifico.
La soluzione per il Matriarcato a Locri è forse più semplice delle tante argomentazioni. Sull’origine micenea delle legislazioni doriche, con particolare riferimento alla legislazione spartana di Licurgo e quella locrese di Zaleuco, nessun storico ha dubbi. Mancano gli studi particolareggiati. Dire Micene e dire Gortina è la stessa cosa. E, invero, il Codice di Gortina alla fine della sesta colonna tratta dell’unione tra uno schiavo e una donna libera. I figli della coppia erano considerati schiavi se la famiglia viveva nella casa paterna, liberi se, viceversa, risiedevano in quella materna. Ciò dimostra innanzitutto che esisteva un legame riconosciuto tra schiavo e donna libera.
Qui di seguito si enuncia la norma originale per come studiata e riportata dalla grande Margherita Guarducci nel CdG, alla Colonna VI, 56 e VII, 10:

Se lo schiavo, recandosi presso la libera, si unisce a lei, i figli siano liberi. Se invece la libera (va) dallo schiavo, i figli siano schiavi. Se dalla stessa madre nascono figli schiavi e figli liberi, quando la madre muore, se ci sono beni, li abbiano (i figli) liberi. Se non ci siano (figli) liberi, gli aventi diritto ereditano.Gli aventi diritto non sono i figli nati da donna libera che si è accoppiata presso la casa dello schiavo, ma la parentela affine (fratelli, zii, nonni) che sopravvive alla donna morta.

È intuitivo dedurre, anche se finora mai fatto, che i figli della donna libera che si era accoppiata con uno schiavo presso la sua casa, lo erano in quanto discendenti dalla madre e da essa traevano il nome. Il mistero della madrilinearità a Locri, per come sbandierato in forma negativa da Polibio ed anche da Aristotele, ha spiegazione in una norma precisa di diritto miceneo, al quale si sono ispirati tutte le popolazioni doriche, ma anche Atene, che prevedeva la libertà dei figli in quanto avevano diritto a un patronimico; mentre gli schiavi, di fatto, non davano neppure ai loro figli il patronimico, posto che portavano la indicazione semplice di essere schiavi di… e non di essere figli di…

Il patronimico della madre come frutto di una previsione di legge che a Locri Opuntia si rispettava e che a Locri permise la nascita di una grande polis

Durante la guerra messenica, l’unione è stata tra Donne di Locri Opunzia e i loro stessi schiavi e, sicuramente, la casa era quella della padrona (si trattava di oikeis; ossia, schiavi presso la casa del padrone; mentre, si ripete, gli schiavi di campagna erano chiamati douloi). Dunque, la norma sopra citata, che valeva per il diritto dei dorici, a Locri Opunzia si applicava, perché di etnia dorica. Donne libere erano le donne locresi, e i figli presso la loro casa erano uomini e donne libere; uno schiavo non poteva dare il patronimico ai figli, ma una Donna Libera invece sì. Così figli di schiavi erano uomini e donne libere, con il patronimico della madre, se la nascita e la convivenza avveniva presso la casa della Donna libera.
Occorre subito sottolineare che l’unione fu tra donne libere e schiavi. Come pure non tralasciare il fatto che le donne fossero libere e non sposate, diversamente non si capirebbe la norma zaleuchiana all’adultero e all’adultera cavar si debbon gli occhi. D’altronde lo stesso CdG puniva severamente la moicheia (col. II, 45), ossia l’adulterio. A questo punto serve specificare che, presso i Micenei, l’unione tra Libera e Schiavo veniva chiamata opuien (daοπυιω/οπυω, prendo moglie),che stava anche a indicare un regolare legame matrimoniale. Invero, si era soliti, a Micene ma anche a Sparta, distinguere due specie di schiavi: gli oikeis e i douloi. I primi erano, per così dire, al servizio presso il padrone e la padrona (oikos, casa); i secondi schiavi, ma nei poderi. Seppure il CdG non faccia questa distinzione in astratto, in concreto si è verificato che gli oikeis dei Locresi Opunzi si unirono con la vergini locresi, vivendo già nella casa della padrona. Ma non è da escludere che fosse così anche per il doulos che si fosse recato e convivesse presso la casa della donna libera.
Così la padrona poteva dare il patronimico ai figli liberi; diversamente lo schiavo non poteva né dare il patronimico né avere figli liberi. Il patronimico era in funzione, dunque, della condizione di uomo libero e doveva venire da persona libera. In questi termini è chiara l’origine servile dei Locresi per come sostenuta da Aristotele, sia l’indagine di Polibio che osservava che a Locri l’origine del nome era sempre matrilineare.
Questa sua affermazione va chiarita, perché in sé fuorviante e porta a considerazioni del tutto antistoriche.
Infatti, il diritto delle donne a dare il patronimico si estingueva alla nascita del primo figlio. Che, a sua volta, essendo un Uomo Libero, poteva dare il patronimico alla sua discendenza. Questa è una interpretazione consequenziale al CdG che, si ripete, così prevedeva:

Se lo schiavo, recandosi presso la libera, si unisce a lei, i figli siano liberi.

Non è ammissibile un’interpretazione contraria, perché diversamente i figli non sarebbero più liberi, se non avessero il potere-diritto di dare il patronimico: sarebbe stata un’origine servile eterna; ma a Locri si è anche parlato dagli storici (a sproposito) di un’origine nobiliare della Classe Politica Locrese: i presunti Kyloi. E questo in funzione di interpretazione, da legare sempre a Polibio, che i Kyloi sarebbero stati una classe politica a sé e non il parametro per identificare una città-tipo, ideale per la gestione politico-amministrativa da parte del dèmos (popolo).A Sparta vigeva la stessa norma. Ma l’applicazione rigida delle norme aristocratiche micenee portava a uno jus sanguinis che contemplava anche l’etnia. Una Donna spartana poteva dare il patronimico ai figli, anche per una relazione che oggi diremmo adulterina, ma l’uomo doveva essere uno Spartano.
Così si spiega la tragedia dei Partheni, che tratteremo più avanti. Così si spiega la Democrazia di IV tipo di Aristotele, che teorizzava, pur abborrendola, la possibilità dei figli illegittimi di ricoprire le cariche più alte di una pòlis.
La norma agevola anche la comprensione di molti usi e norme a Locri. Si pensi anche alla peculiarità del rito del matrimonio, che a Epizefiri era da declinare tutto al femminile (Γάμος στην Επιζεφύριοι Λοκροί, Gàmos sten Epizefiroi Locroi: Il matrimonio a Locri Epizefiri). Certo vi era la formalità dell’uomo che andava presso la casa della compagna di desco (così era chiamata la moglie) e la portava alla casa nunziale.
Ma prima di questo vi era un rito che la donna celebrava tutta da sola e che spiega le cose sopra dette. Il potere della Donna di dare la vita, in definitiva, la rendeva oggetto di invidia da parte dell’uomo e nel bene e nel male protagonista della vita della pòlis.

Foto: ilmanifesto.it

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