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Costume e SocietàLetteratura

 Il “klêros” a Locri Epizephiri

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXXXIII


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

A Locri, condizionato l’Istituto dall’origine servile dei locresi e dalle norme zaleuchiane che vietavano (sotto pena del laccio) di possedere schiavi e schiave, il klêros era concesso solo ai Klêroi, ossia ai cittadini locresi di origine, in cambio di una prestazione. Esso non era alienabile, se non dietro l’autorizzazione del magistrato, era trasmissibile agli eredi ma non divisibile, per cui avveniva che, quando gli eredi erano più di uno, spettava al figlio maggiore coltivare il fondo, dando agli altri eredi la propria parte. Non era trasmissibile alle figlie femmine, che ereditavano solo in assenza di eredi maschi, ma dovevano convolare presto a giuste nozze con un’affine di primo grado. Se l’eredità era proveniente dal marito deceduto, l’obbligo del matrimonio comprendeva il fatto che di preferenza il marito andava scelto tra i fratelli del defunto marito.
Certamente la configurazione del klêros portò a due conseguenze, contrastanti con i fini che la legislazione Locrese si era imposto all’origine. Da una parte, sclerotizzò il diritto di proprietà che rimase sempre agli originari proprietari, determinando una sorta di nobiltà agraria che restava sempre in possesso di proprietà che pure erano dello stato, dall’altra frenò fortemente, assieme al divieto di coniare moneta, unitamente a quella che vietava l’interposizione nella vendita dei beni prodotti, lo sviluppo commerciale di Locri. Si pensi che le norme riguardavano i Locresi e non i siculi, gli enotri e gli italioti. La previsione durò molto nel tempo, perché Aristotele nel parlare di Locri parla di norme al presente.
Una prima, dolorosa sul piano della tradizione, violazione del principio si ebbe quando Locri ebbe la necessità di stipulare un’alleanza con Reghion. Nel trattato venne anche previsto il reciproco diritto di possedere immobili nel territorio delle due poleis.
Quello della indivisibilità del klêros fu certamente un’imposizione di legge, ma anche una tradizione, a tal punto che con esso si identificava l’intera famiglia. Quando in tarda età si ebbe la necessità di procedere alla divisione presso i locresi, si dice che ci furono casi di pazzia per il dolore, perché da quel momento si smarrivano le origini famigliari.
Se a Sparta il klèros permetteva di dedicarsi esclusivamente alla passione guerriera e lo stesso, diviso in lotti, veniva dato per la coltivazione agli iloti, in cambio di corresponsione di una certa quantità di prodotti, a Locri l’impossibilità di avere schiavi portava i kyloi a coltivare direttamente la terra con l’aiuto dei figli e con lo scambio del lavoro. Se si usavano servi o affini, di sicuro erano scelti tra i siculi, i morgeti, gli enotri e, soprattutto, gli italioti. In questo caso si parla di klaratoi, così come era in uso a Creta e a Gortina, da cui discende gran parte delle istituzioni locresi.
Per un uomo, fosse anche nobile aristocratico (e i Locresi non lo erano), coltivare la terra rientrava nella sua duplice vocazione di guerriero e contadino. Omero, da questo punto di vista, è una fonte incredibile e inesauribile. Nella società omerica il lavoro manuale di contadino era una attività nobile. Quando Eurimaco rinfaccia ad Ulisse, travestito da mendicante, la suo poltroneria, riceve questa risposta:

Se fosse gara fra noi, chi più a lungo resista al travaglio
di primavera quando, Eurimaco, i giorni son lunghi,
a falciar l’erba; e in pugno m’avessi una falce ricurva,
ed una simile tu, provando chi fa più lavoro,
sino al tramonto digiuni restando; e ci fosse tant’erba;
e se ci fossero buoi da spingere, quelli più forti,
grandi, lucenti di pelo, ben d’erba pasciuti, di possa
simili, simili d’anni, che grande la forza ne fosse;
e quattro iuggeri, e sotto l’aratro s’aprisse le zolle,
tu mi potresti vedere se dritto so schiudere il solco.

Qualche storico cita pure Ateneo che, nel IIIº secolo a.C., ricorda una canzone cretese che i proprietari terrieri cantavano:

I miei beni sono una lunga lancia,
una spada e il bello scudo che ricopre il mio corpo.
Con questi lavoro la terra, con questi mieto

e raccolgo il dolce vino della vite.

Invero, la canzone è ispirata ad una poesia di Archiloco di Paro, già in precedenza ricordata.
A Locri la parsimonia dei klèroi era più che nota, tanto che si dice, su pensiero di Platone, che a Sparta, per indicare la parsimonia dei dorici, si cantasse la seguente poesiola nella quale i cibi elencati erano tra i più poveri:

Se vuoi vivere bene da grande
Devi nutrirti di mirto e di ghiande.

Farina d’orzo e farina di grano,
Questo ci vuole per essere sano.

Foto: romanoimpero.com


Varacalli

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